La fotografia: Giappone e Cina in posa
a cura di Elisa Vecchione
Nel 1854 il fotografo parigino André Adolphe Eugène Disdéri (1819-1889) trovò il metodo per ottenere otto diversi negativi su una sola lastra, probabilmente ispirandosi alle fotografie stereoscopiche, scattate con fotocamere a due obiettivi e già in uso dal 1850. La fotocamera ideata e brevettata da Disdéri incorporava quattro obiettivi (poi otto o dieci) e un telaio porta lastra a scorrimento, che permetteva il posizionamento del negativo per poterlo impressionare più volte. Dieci erano gli scatti previsti e descritti nel brevetto del 1854, otto, in realtà, quelli pervenuti integri sui fogli non tagliati. In questo modo si poteva impressionare, sviluppare e stampare contemporaneamente molte immagini di dimensioni ridotte e abbattere i costi di produzione, di un quinto, di ogni singola fotografia.
Venne così ideata una sorta di produzione seriale di immagini che portò notevoli cambiamenti nel mondo della fotografia.
Le dimensioni di una carte de visite si aggiravano attorno ai 54 mm (2.125 in.=inch=pollice) di base e 89 mm (3.5 in.) di altezza per le immagini verticali, viceversa per quelle orizzontali. L’immagine veniva stampata su carta sottile e compatta, solitamente all’albumina. E’ possibile trovare esemplari antichi stampati su carta salata, ma sono molto rari e preziosi. Più recente era l’uso con procedimenti al collodio, aristotipia o di altro tipo. Queste stampe venivano poi montate, quasi sempre a caldo, su un supporto cartaceo rigido.
Le dimensioni del cartoncino erano di circa 64 mm (2.5 in.) volevano farsi ritrarre, per donare agli amici, ai parenti, alla persona amata una copia del proprio ritratto. La novità del formato, divenuto standard in ambito fotografico, facilitò la divulgazione di questi oggetti, che venivano conservati nel portafogli, in borsetta, in tasca. L’immagine dei propri cari poteva essere trasportata ovunque. Analizzando questo aspetto è facile capire come la necessità del legame, amicale, amoroso o anche ideologico, poté concretizzarsi nel possesso anche fisico dell’immagine. Un’icona, intesa nel senso dei semiologi: come messaggio, in questo caso ricordo, affidato all’immagine. L’idea del ricordo, della conservazione della memoria, almeno estetica, da sempre legato alla fotografia, portò alla creazione degli album fotografici di famiglia, con i ritratti dei componenti; una sorta di atlante famigliare.
Fino agli anni ’70 del XIX secolo la moda che scatenò la carte de visite si diffuse in tutta Europa e nel resto del mondo. Lo sviluppo della rete postale permise gli scambi e la vendita per corrispondenza di questi oggetti. La fotografia divenne per la prima volta oggetto di distribuzione. Faceva parlare di sé: attraverso il ritratto; dei luoghi, con le immagini di paesaggi; di usanze e costumi, attraverso le scene di eventi, anche simulate, come la mise en scene.
Ma ciò che forse più rivoluzionò il mondo della fotografia fu l’abbattimento dei costi, che rese possibile l’accesso a questo genere di prodotti anche alla classe operaia. Questo aspetto fu importante, non soltanto per la possibilità che venne offerta a quella parte di popolazione, che prima ne era esclusa, di essere rappresentata iconograficamente e sollevata dall’anonimato, ma anche perché queste immagini ci offrono, oggi, dei documenti preziosi per avere un quadro complessivo della società di per 100 mm (4 in.). La differenza tra la carta stampata e il supporto sul quale veniva incollata, creava una sorta di passepartout dove era possibile inserire l’impronta del timbro, ad inchiostro o a secco, dello studio fotografico, il luogo della ripresa, il titolo dell’immagine o altre indicazioni. Anche il verso del cartoncino veniva utilizzato per indicare queste notizie, a stampa o manoscritte. Di solito sul verso venivano indicate anche le medaglie e i premi vinti. Questi elementi servivano per creare la concorrenza tra uno studio fotografico e l’altro; ma esprimevano anche il desiderio da parte del fotografo di firmare, come artista, la propria opera.
L’utilizzo di obiettivi più veloci e con lunghezze focali più corte rese possibile una maggior flessibilità nella scelta delle pose che fino ad allora privilegiavano la figura a mezzo busto. Si cominciò a ritrarre, con più facilità, i soggetti a figura intera e con posture che simulavano dinamicità, anticipando così, almeno esteticamente, l’istantanea.
La carte de visite non ebbe subito il successo sperato. La sua popolarità ebbe origine probabilmente da un episodio ben preciso: quando Napoleone III fece fermare le truppe in partenza per la campagna d’Italia (II guerra d’Indipendenza italiana) per farsi ritrarre, nello studio di Disdéri, al n. 8 del Boulevard des Italiens. Probabilmente per diffondere la sua immagine a tutto il popolo, ai suoi sottoposti e agli Alleati.
Ebbe così inizio un lungo via vai, nello studio del fotografo parigino, anche di personaggi famosi per farsi ritrarre. Divulgare la propria immagine garantiva la consacrazione del proprio successo, in ambito artistico, finanziario e politico; nacque una nuova forma pubblicitaria fino ad allora sconosciuta.
Questa consuetudine si diffuse anche tra il resto della popolazione. Tutti coloro che potevano permettersi una carte de visite allora, senza esclusione di alcuno stato sociale. Quando le cartes de visite cominciarono a diffondersi a livello popolare, vennero, presso le classi medie, considerate fuori moda e questo portò al loro lento e progressivo tramonto.
L’invenzione di Disdéri ebbe però il merito di creare un livellamento delle classi sociali almeno all’interno della cornice della fotografia. Operai, borghesi, contadini, uomini, donne, nobili, religiosi, emarginati apparivano, nello spazio di una carte de visite, tutti della stessa misura.