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Fotografi, disegnatori, editori e stampatori

Cartoline dall’Estremo Oriente
Cartoline dal Giappone

Nella maggior parte dei casi il fotografo (o il disegnatore), l’editore, lo stampatore, e la data in cui furono edite le cartoline rimangono sconosciuti. Nomi di fotografi si possono fare solo per quelle cartoline le cui illustrazioni sono state tratte da vecchie fotografie commerciali ottocentesche, di cui a volte hanno riprodotto pure la tipica didascalia in caratteri bianchi su sfondo nero. Sono comunque immagini dall’attribuzione controversa perché la vendita tra fotografi di interi archivi di negativi, con la soppressione del nome dell’autore originale, e la distruzione degli stessi operati da incendi e terremoti hanno causato danni irreparabili, motivo per cui le immagini vengono fatte risalire ora ad uno ora ad un altro fotografo.

Un esempio di questo stato di cose è l’immagine della cartolina dal titolo “Una sera d’estate sul fiume Shijo” (fig. 38 e scheda 44), non viaggiata ma databile a dopo il 1918, immagine che è stata attribuita nel tempo a vari fotografi, ad Ogawa Kazumasa, a Tamamura Kihei, ad uno sconosciuto che Terry Bennet, il grande studioso di fotografia orientale, nel 2006 è riuscito a identificare, grazie al ritrovamento di un vecchio articolo del 1896, come il vero autore della fotografia, il fotografo amateur Y. Isawa, risolvendo così una volta per tutte la questione. Allo stesso Isawa deve essere ascritta un’altra immagine, chiaramente eseguita nello stesso luogo e con due delle sei donne presenti (quella seduta sulla ringhiera e quella di spalle), che però è stata attribuita ora a Kashima Kiyobei ora a Tamamura Kozaburo, padre di Kihei.

Altro caso emblematico è quello di Adolfo Farsari (1841-1898), l’ultimo dei grandi fotografi occidentali residenti in Giappone, e a cui sono attribuite molte immagini delle nostre cartoline (vedi schede 1, 3, 6, 8, 24). Nel 1885 stringe un sodalizio commerciale col giovane Tamamura Kozaburo, e i due per prima cosa acquisiscono i negativi della Japan Photographic Association (la società creata da Raimund von Stillfried-Ratenicz e Hermann Andersen), che a sua volta nel 1877 aveva comprato l’intero stock di negativi di Felice Beato. Ma nel frattempo una parte dei negativi di Stillfried erano stati venduti anche a Kusakabe Kimbei. Sempre Farsari attorno al 1889 s’accorge che, grazie alla semplificazione delle tecniche fotografiche, almeno la metà dei visitatori stranieri del Giappone sono fotografi dilettanti, mette quindi a loro disposizione il suo studio e la camera oscura, utilizzandone in cambio le fotografie e così aggiornando il proprio archivio di immagini. L’atelier continuerà a portare il nome A. Farsari & Co. Photographic Studio anche dopo la partenza definitiva di Farsari dal Giappone nell’aprile 1890, anche dopo i diversi cambi di proprietà, da Tonokura Tsunetaro a Watanabe Tokutaro a Fukagawa Itomaro, fino alla chiusura definitiva avvenuta probabilmente in seguito al grande terremoto Kanto del 1923. Nel frattempo però le fotografie prodotte dallo studio continueranno ad essere attribuite a Farsari.

Nel caso delle cartoline la confusione è ancora maggiore perché di fatto non esisteva il diritto d’autore: ogni editore poteva “impossessarsi” di una fotografia, tagliarla, colorarla, aggiungervi dettagli interessanti e magari spacciarla per propria. Veramente intrigante è il caso della cartolina dal titolo “Massaggiatore cieco (Anma)”, non viaggiata e databile al 1903-1905 circa (fig. 39 e scheda 9). La figura in primo piano è stata tratta da una collotipia del 1896 attribuita ad Ogawa Kazumasa, The amma (fig. 40), che è stata copiata, ritagliata e appiccicata a maniera di calcomania sullo strano sfondo della cartolina.

Ma è proprio lo sfondo la parte più interessante. Rappresenta due pellegrini che incedono lungo un viottolo nel bosco, immersi in una atmosfera resa densa dall’oscurità della notte e dalla leggera foschia. Pochi colpi di luce sottolineano i particolari: il luccicore che da una finestra della casupola si riverbera sulla sporta di un personaggio, il chiarore della luna che dirada le tenebre del cielo e dà riflessi argentei al cammino (fig. 41). Una tipica immagine di stampo pittorialista, a cui si richiama anche l’uso del fotomontaggio.

Il Pittorialismo, primo movimento fotografico veramente internazionale, fu  promosso nel mondo tra il 1890 e il 1900 da numerosi gruppi e associazioni multinazionali. In Giappone fu introdotto molto presto, nel 1889, col nome Geijutsu shashin, fotografia artistica, dallo stesso Ogawa Kazumasa che per farla conoscere aveva fondato col fotografo milionario Kashima Seibei, il professor William K. Burton e altri, il circolo Nihon Shashin-kai (Società della fotografia giapponese) e la rivista “Shashin Shinpo” (Notizie fotografiche). Il circolo contava con 56 soci, di cui ben 24  stranieri, che si dichiaravano fotografi dilettanti. Quattro anni più tardi, nel 1893, Burton riuscì ad organizzare una grande mostra di fotografia pittorialista straniera, la Gaikoku Shashin-ga Tenrain-kai: le 296 fotografie in esposizione erano opera dei membri del Camera Club di Londra e comprendevano lavori di Peter Henry Emerson e George Davison. La mostra ebbe un impatto enorme sui fotografi giapponesi che si trovarono di fronte per la prima volta alle fotografie pittorialiste, le cui caratteristiche principali – morbidezza, asimmetria, semplicità – venivano usate con lo scopo di condurre lo spettatore ad uno stato contemplativo, cosa molto vicina all’estetica giapponese. Nessuna meraviglia dunque che i fotografi giapponesi abbracciassero con entusiasmo questo stile in cui vi riconoscevano molto del proprio sentire. Le opere di quello che viene considerato il padre della fotografia pittorialista giapponese, Kurokawa Suizan (1882-1944), sono fortemente influenzate dalla sansui-ga, la tradizionale pittura giapponese di paesaggio, imbevuta di principi filosofici e religiosi, e che si esprimeva in un paesaggio idealizzato, dall’atmosfera drammatica creata dalla nebbia, in cui l’uomo appare come una presenza occasionale e transitoria, come nell’esempio qui riportato, un’opera senza titolo del 1906, conservata nel Tokyo Metropolitan Museum of Photography (fig. 42).
Nello stesso stile è  Misty Forest (fig. 43) di Tamamura Kihei (?-1951), la fotografia è stata datata al 1912 per il timbro sul cartoncino, ma potrebbe anche essere anteriore. Kihei, figlio del grande Tamamura Kozaburo (1856-1923), dopo aver lavorato nello studio del padre – probabilmente fu l’autore di molte delle classiche vedute turistiche colorate a mano nello stile della Yokohama Shashin – ed essere divenuto professionista nel 1900, divenne famoso tra il 1915 e il 1930 come fotografo pittorialista.
Circa dello stesso periodo, 1900-1908, è anche la stereografia Pilgrim in the forest road di T. Enami, nome commerciale di Enami Nobukuni (1859-1929), il prolifico fotografo che dal 1885 al 1890 fu prima allievo e poi assistente di Ogawa (fig. 44). Nell’aprile del 1892 si trasferì a Yokohama dove aprì uno studio sulla Benten-dori a pochi passi di distanza da quello di Tamamura Kozaburo. Sia Enami che Tamamura erano in rapporti non solo professionali ma anche d’amicizia con Ogawa, e se Enami   faceva parte della Ogawa Alumni Association, Tamamura, che non fu mai allievo di Ogawa, sembra vi occupasse comunque un posto honoris causa.

Ritornando alla nostra cartolina e al suo sfondo, vi si ritrova la stessa atmosfera rarefatta, lo stesso romanticismo nebbioso, oltre che lo stesso soggetto, quello del viandante pellegrino nel bosco, delle fotografie precedenti. L’esposizione online di cartoline pittorialiste della collezione privata del fotografo e collezionista americano Rob Oechsle (Okinawa Soba), Japanese Art Photography preserved on Postcards, (consultabile sul sito www.luminous-lint.com)  mostra altrettante numerose analogie con la nostra cartolina e disvela come il pittorialismo si sviluppò non solo nella “grande” fotografia ma pure nella cartolina. Sicuramente queste non erano cartoline turistiche ma destinate a un’élite colta, in grado di capirne i codici filosofici, e la nostra cartolina sembra dunque un tentativo ibrido di innestare su un’immagine pittorialista, poco interessante per il grande pubblico, quella degli esotici mestieri giapponesi, tanto richiesta dagli stranieri.

Ritornando al grande Ogawa Kazumasa (1860-1920), pioniere della stampa fotomeccanica (introdusse in Giappone la pratica delle immagini retinate) e della collotipia, tra mille altre cose produsse anche cartoline illustrate e pubblicitarie tra il 1896 e il 1915 (vedi scheda 9 e 13). Come nei suoi più famosi libri fotografici, anche per le cartoline era solito utilizzare tanto fotografie proprie che quelle di altri autori,  nel 1896 ne produsse alcune per il Governo giapponese con proprie vignette fotografiche, nel 1905 non si lasciò scappare l’opportunità di editare una serie dedicata alla Guerra Russo-Giapponese, nel 1907 pubblicò una serie intera in collotipia dedicata al Monte Fuji basata sulle fotografie dell’inglese Herbert George Ponting (1870-1935), nel 1908 ne produssee un’altra per conto della Tokyo Railway Company, nel 1910 per la Tohoku Imperial University di Sapporo e infine verso il 1918 eseguì una serie di fotografie alla gelatina d’argento cartolinizzate e illustranti luoghi pittoreschi per la Imperial Government Railways of Japan.

Passando agli editori, alcuni sono state così gentili da stampare i loro logo sulle cartoline e permetterci di identificarli.
Una delle aziende più longeve fu la Sakaeya Shoten (Libreria Sakaeya), attiva tra il 1900 e il 1945. Fondata nel maggio 1893 da Kotaro Imaki a Kobe, era situata nella via Motomachi, la via principale della città, posta vicino ai quartieri stranieri; all’inizio vendeva carte da gioco, dipinti incorniciati, varie merci importate e francobolli ryumon, molto richiesti dai collezionisti stranieri. Poco dopo l’inizio del nuovo secolo incominciò a vendere quasi per caso cartoline illustrate importate, il grande successo ottenuto spinse Kotaro a diventare editore in proprio e grossista di cartoline. Nel 1906 vinse un premio alla Mostra di cartoline di Osaka con una serie dal titolo Kobe yori Akashi, formata da 8 cartoline illustranti le città di Kobe e Akashi. Alla fine degli anni Venti divenne famoso per i suoi bromides o promides, termini con cui in Giappone si usavano indicare i ritratti fotografici degli “idoli delle folle”, come gli attori del cinema, i cantanti, le geisha. Il termine era stato usato per le prima volta dalla società Marubell-do che il 5 maggio 1921 aveva aperto un negozio ad Asakusa (Tokyo), e aveva iniziato a vendere questo tipo di foto (il primo ritratto fu quello dell’attrice Sumiko Kurishima) indicandole con quel nome, che non aveva nessuna relazione con la carta fotografica al bromuro (bromides paper). La Sakeya si specializzò in questo tipo di cartoline fotografiche così come fece con le imon hagaki, le “cartoline di simpatia” che le ragazze inviavano ai soldati al fronte durante la Seconda guerra mondiale. Proprio nel 1945, nel corso di un bombardamento aereo americano, il negozio venne raso al suolo e mai più ricostruito.

A partire dal 1911 circa le cartoline Sakaeya incominciano a portare sul recto, in basso a destra, il disegno di un piccolo leone, il logo dell’azienda; più tardi il leone passerà sul verso, occupando il posto del francobollo; queste cartoline hanno anche stampata sul recto l’indicazione della serie formata da una lettera e dei numeri tra parentesi; a volte, invece del leone, riportano sul retro, stampato sopra la linea divisoria, il marchio chiamato Ueda o Uyeda (immagine al lato e schede 36, 41 e 42).

La S. N. Banshudo (anche Banshiudo) fu attiva tra il 1905 e il 1916 con sede al n. 14  del Parco Shiba a Tokyo e si fece subito notare per le sue cartoline in collotipia colorate a mano, tanto belle da poter essere scambiate per fotografie, e aveva come
logo una rondine (immagine al lato e schede 12 e 16). Alcune cartoline recano sul recto il monogramma “NS”: le iniziali del fotografo Shisui Naruse e dunque la S. N. Banshudo sarebbe stata la sua azienda; più raramente si trova un altro monogramma “YT” per indicare il fotografo Yoto Tsukamoto. Secondo il Metropolitan Postcard Club di New York, sarebbe stata una società svedese di Stoccolma operante in Giappone.

La Tomboya, o Tonboya, fu una delle più famose case editrici di cartoline del Giappone, attiva tra il 1910 e il 1930 a Isezakicho, il quartiere dei teatri di Yokohama.

Era stata fondata da Tokutaro Maeda, presidente della Kamigataya Publishing Co. di Tokyo, che era riuscito ad assumere in questa sua nuova impresa il fotografo Takaji Hotta, già impiegato presso lo studio di Adolfo Farsari. Sembra comunque che abbia utilizzato anche fotografie di altri autori, soprattutto quelle di T. Enami, nome commerciale di Enami Nobukuni (1859-1929), già allievo e assistente di Ogawa Kazumasa. L’azienda aveva come logo una libellula, tombo in giapponese, che veniva stampata sul recto della cartolina, in basso a destra; a volte si trasformava in uno sciame che prendeva il posto destinato al francobollo sul verso (vedi schede 35 e 37). Spesso sulle cartoline la didascalia, riportata sia in inglese che in caratteri kanji, è preceduta da una lettera e un numero tra parentesi: la lettera è l’iniziale del luogo rappresentato, il numero è quello della serie corrispondente. La Tomboya produsse cartoline in bianco e nero e colorate, di notevole qualità, del Giappone e anche, in piccola parte, della Corea.

Dell’editrice Kamigataya Heiwadô con sede nella zona di Kanda a Tokyo (da non confondersi con un’altra dallo stesso nome però con sede a Ginza, sempre a Tokyo, fondata da Yoshimura Kiyobei nei primi anni Venti del XX secolo e specializzata in cartoline litografiche riproducenti le stampe ukiyo-e) non si hanno invece notizie, ma si riporta il logo (vedi scheda 14).

Certamente non era necessario recarsi in Giappone per acquistare cartoline con soggetti giapponesi, perché anche la cartolina illustrata non poteva sfuggire all’ondata del japonisme che percorreva la cultura in Europa e negli Stati Uniti: ben lo sapevano i maggiori editori di cartoline – a partire dagli eccellenti stampatori-editori tedeschi e austriaci – che si erano organizzati su base multinazionale e che potevano offrire in vendita serie esotiche senza che l’acquirente dovesse muoversi da casa. Come fecero, tra le altre, le tedesche The Rotograph Co. e Theodor Eismann (vedi scheda 23), l’americana The Detroit Publishing Co., la francese ZTN, la scozzese Valentine’s Co. Ltd., l’inglese Raphael Tuck & Sons.

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