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La cartolina illustrata

Cartoline dall’Estremo Oriente

Che cos’è la cartolina illustrata?

La cartolina illustrata è un oggetto postale complesso, ricco di sfaccettature: è l’unico oggetto bidimensionale che presenta due lati ma tre partizioni: la prima per i dati del destinatario (nome e indirizzo) e i “segni postali” (affrancatura e annullo); la seconda per il messaggio; la terza per l’immagine. L’evoluzione del variare dei rapporti tra indirizzo, messaggio e immagine, tra il recto e il verso, è la linea strutturante della storia della cartolina. Ed è ciò che, in assenza di altri elementi, permette di datarla.

Deriva dalla cartolina postale, la famosa Correspondenz-Karte, non illustrata, emessa per la prima volta dalla Posta austro-ungarica il 1° ottobre 1869 e che incontrò un favore tale da essere adottata da altri stati in meno di tre anni. Si trattava di un cartoncino bianco dalla grafica essenziale: una cornice più o meno elaborata, il disegno stampato del francobollo, a volte lo stemma nazionale; dal lato del francobollo veniva scritto il nome e l’indirizzo del destinatario, dall’altro il messaggio. Dal punto di vista amministrativo era considerata un “intero postale” in quanto pre-affrancata e godeva di una tariffa ridotta; la sua produzione era prerogativa dell’Amministrazione postale dei singoli stati e il suo uso solo interno. Il 1° luglio 1875 il Trattato dell’Unione Postale Generale – che tra le altre cose regolava le condizioni dei servizi postali tra i suoi membri e che in seguito modificherà il nome in Unione Postale Universale (UPU) – ne ammise la circolazione internazionale e nel 1878 ne indicò la dimensione standard accettata, 9×14 cm.

La transizione a cartolina illustrata fu graduale: alcuni editori privati iniziarono a stampare delle cartoline con decori o messaggi commerciali, ma la tariffa del francobollo divenne pari a quella di una lettera. Solo dopo che le stesse Amministrazioni postali cominciarono a produrre cartoline con illustrazioni, arrivò l’autorizzazione all’uso di quelle private con la stessa tariffa agevolata. Nel 1897 il V Congresso dell’Unione Postale Universale sancì la validità internazionale della cartolina illustrata di produzione privata, fatto che diede inizio a quella che diventerà una vera e propria mania: il collezionismo di cartoline detto cartofilia, o deltiologia (deltiology) nei paesi anglosassoni. Le cartoline non verranno solo comprate come souvenir di un viaggio, o piccolo regalo, o documento di luoghi lontani, ma anche per la sola immagine, e più di tutto diventeranno il simbolo della modernità e dei suoi caratteri: sinteticità, spigliatezza e leggerezza.

Nell’estate del 1899 si era tenuta a Venezia la prima Esposizione Internazionale di cartoline illustrate, ma fu l’anno dopo, nell’Esposizione Universale di Parigi, che il “fenomeno” della cartolina esplose, quando gli editori presentarono ben sessanta serie di cartoline tutte numerate progressivamente con l’indicazione della tiratura come le acqueforti. Nacquero allora riviste dedicate e negozi specializzati, si formarono le cosiddette “catene di corrispondenza”, formate da persone che corrispondevano al solo scopo di scambiarsi cartoline da luoghi lontani, e si diffuse l’abitudine di conservare le cartoline in appositi album, come le fotografie.

Nel 1902 avvenne una piccola rivoluzione, la Posta britannica adottò la cosiddetta cartolina divided back: il verso era diviso da una riga verticale in due parti – a destra per l’affrancatura e l’indirizzo, a sinistra per la comunicazione del mittente – in modo da lasciare l’intero altro lato tutto a disposizione dell’illustrazione. Il nuovo tipo venne introdotto nel 1903 in Francia e Canada, nel 1905 in Germania e Austria, nel 1906 in Italia, nel 1907 negli Stati Uniti. Il 1° ottobre 1907 l’Unione Postale Universale ne riconobbe la validità internazionale.

Come veniva prodotta

Produrre una cartolina illustrata richiedeva un lasso di tempo tra le due settimane e i quattro mesi, e vedeva in campo la presenza di molte persone: editori, disegnatori e fotografi, ritoccatori, stampatori, distributori e rivenditori.
Tutto iniziava con un editore che decideva di produrre una cartolina da vendere al maggior numero di persone. La prima cosa da fare era scegliere un’immagine, in genere una fotografia, meno spesso un bozzetto; il passo successivo era inviarla alla stamperia con cui si era sottoscritto un contratto per stampare un certo numero di cartoline ad un certo prezzo. Lo stampatore richiedeva un ordine minimo di copie perché l’affare fosse per lui economicamente sostenibile, il numero veniva spesso determinato dal tipo di stampa. Le prime cartoline erano stampate con la tecnica della litografia, ma il processo per eccellenza fu quello della collotipia.
Chiunque poteva diventare editore di cartoline:

  • il fotografo professionista che diventava editore di se stesso trasformando le proprie immagini in cartoline;
  • il piccolo negozio (come la cartoleria, il chiosco di souvenir, la pensioncina o addirittura l’ambulante) che si faceva stampare piccole quantità di cartoline da vendere in proprio, magari dopo essersi messo d’accordo col fotografo di quartiere, o che altrimenti le acquistava dai cataloghi dei rivenditori;
  • le grandi aziende e le attività legate all’industria del turismo (gli alberghi, le linee di navigazione o ferroviarie) che usavano le cartoline per auto-promozionarsi, e che le stampavano in proprio insieme agli altri materiali pubblicitari o le appaltavano a stampatori esterni;
  •  infine gli editori veri e propri: alcuni erano poco più che intermediari tra lo stampatore e i negozi al dettaglio; altri erano totalmente autosufficienti e facevano tutto da sé, dalla fotografia alla stampa alla distribuzione; altri ancora entrarono nel settore della cartolina solo quando ne scoppiò la mania, ma questa rimase sempre un’attività collaterale, al margine dei loro affari.

Poiché la maggior parte delle cartoline illustrate nascevano da una fotografia, il fotografo era una figura chiave dell’attività, poteva lavorare in proprio o su commissione, anche se in realtà chiunque dotato di una macchina fotografica poteva eseguire delle fotografie e poi accordarsi con uno stampatore per trasformarle in cartoline. Non esistevano quasi i diritti di copyright e diversi editori usavano la stessa fotografia per ricavarvi le cartoline senza preoccuparsi di inserire il nome dell’autore.

Una volta eseguita la fotografia in bianco e nero bisognava ritoccarla manualmente perché diventasse una cartolina: questo era il compito del ritoccatore. Prima di tutto dal negativo venivano eliminati gli elementi considerati poco gradevoli, così come quei dettagli che avrebbero permesso di datare l’immagine impedendole di avere una lunga vita; altri particolari invece (persone, alberi, oggetti) vi venivano aggiunti, “ritagliandoli” da altre fotografie e applicandoli come calcomanie, cercando che non fossero troppo fuori scala con il resto dell’immagine. Il bravo ritoccatore possedeva un vasto assortimento di questi soggetti così da non perdere tempo. Poi bisognava migliorare l’uniformità chiaroscurale e, se era il caso, applicarvi le ombreggiature, e poi segnare i colori da applicare alle varie zone.

Il negativo così ritoccato veniva mandato dallo stampatore per ottenere, con processi fotomeccanici, la matrice con immagine positiva, da cui si sarebbero ricavate velocemente un gran numero di copie. La tiratura si attuava prevalentemente con torchi a mano o con macchine da stampa piano-cilindriche, su ogni foglio si stampavano contemporaneamente oltre trenta cartoline che, una volta asciugate, venivano tagliate nella giusta misura.

Tra i metodi fotomeccanici più utilizzati vi era quello della collotipia, un procedimento inventato da Alphonse Poitevin nel 1855 col nome fototipia, poi perfezionato e commercializzato da Joseph Albert nel 1868 col nome albertype (albertipia). Questo procedimento in realtà è conosciuto con un gran numero di nomi sia a causa delle innumerevoli varianti tecniche, grandi o piccole, che ebbe, sia per i problemi legati alla traduzione “disinvolta” dei suoi termini francesi o inglesi, sia per aggirare il pagamento dei brevetti, sia per motivi di segretezza sui miglioramenti apportati; alcuni di essi sono: Collotipia, Fotocollotipia, Fotolitografia, Albertipia, Fototipia, Autotipia, Collografia, Fotocollografia, Eliotipia, Vetrotipia, Zincotipia, Fotozincotipia, Cuprotipia, Fotocuprotipia, Fotolitocollotipia, Artotipia, Fototinta, Idrotipia, Fotogelatina, Hoeschotipo, Lichtdruck. La stampa ottenuta era di qualità estremamente elevata, con un buon dettaglio e una precisa riproduzione delle tonalità; permetteva però di stampare da ciascuna matrice soltanto un numero limitato di copie, la tiratura ottimale era tra le 300 e le 500 copie da ciascuna lastra,  in seguito l’immagine perdeva la sua incisività e si impastava.

A questo punto le cartoline erano pronte e ritornavano all’editore che poteva venderle in proprio o passarle al distributore che si incaricava della vendita ai grossisti o ai piccoli negozi.

La cartolina, oggetto borghese

Un fatto da sottolineare è che il vertiginoso boom della cartolina di inizio Novecento fu un fenomeno internazionale legato all’espansione, all’ascesa della borghesia. Le classi alte snobbarono la cartolina, troppo economica e troppo volgare con quel messaggio “allo scoperto” sotto gli occhi di tutti; le classi basse la ignorarono, troppo costosa e senza utilità per chi non sapeva leggere e scrivere e il cui mondo sociale era circoscritto ad un’area ristretta. Sarà la classe media e medio-alta a rivolgersi ad essa, per uso pratico (lo spazio ridotto della cartolina con i suoi messaggi stringati facilitava anche chi non era versato nelle “belle lettere”), per uso sociale (rivelava il buon gusto e la cultura del mittente che aveva scelto “quella” immagine), come status symbol (il mittente dimostrava di poter viaggiare in capo al mondo, comprare un oggetto comunque voluttuario e pure inviartelo) e infine per placare quella mania del collezionismo iniziata prima con la carte-de-visite poi con l’immagine stereoscopica e ora con la cartolina.

Fattori di criticità

Quando si cerca di trarre informazioni da una cartolina, alcuni fattori possono creare molta confusione. Il più delle volte esse sono assolutamente anonime, in altri casi invece non è facile assegnare un ruolo al nome che vi troviamo stampato, è quello del fotografo o dell’editore? dello stampatore o del distributore?
La stessa immagine può comparire su due diverse cartoline ed essere attribuita a due diversi fotografi: il fatto è che spesso questi rilevavano l’inventario di altri e ne pubblicavano le foto col proprio nome; anche gli editori, alla costante ricerca di nuove immagini, compravano interi assortimenti dai fotografi senza dare loro nessun riconoscimento.
La data impressa sull’annullo, così come quella eventualmente presente nel messaggio, indicano quando la cartolina è stata spedita, ma non quando è stata edita; e il momento della spedizione può non corrispondere a quello dell’acquisto. Anche l’immagine risulta spesso aleatoria quando si voglia usarla come criterio di datazione. Ci sono casi in cui essa, in genere nelle cartoline “ufficiali”, può essere ricondotta ad un evento preciso, un’inaugurazione, una mostra, una celebrazione,  ragion per cui si conosce perfettamente la data e il periodo di emissione della cartolina, che oltretutto non è suscettibile di riedizioni; ma tutte le altre immagini, i paesaggi, le architetture, le riproduzioni d’arte, i “tipi”, i ritratti, hanno una durata molto lunga, grazie anche a successive riedizioni; il più delle volte infatti il bozzetto o la fotografia da riprodurre non sono coevi all’edizione in cartolina.

Per saperne di più

  • LAVENDER Lisa Ann, Cartoline, in Dizionario della fotografia, a cura di Robin Lenman, edizione italiana a cura di Gabriele D’Autilia, Torino, Giulio Einaudi,  2006, v. 1, p. 136-140
  • L’Italia in posa. Cento anni di cartoline illustrate, a cura di Paola Callegari e di Enrico Sturani, Napoli, Electa, 1997 (Catalogo della Mostra tenuta a Roma, Complesso monumentale di San Michele, Chiesa delle Zitelle, 19 settembre-15 novembre 1997)
  • RAPISARDA Andrea, Il mondo in cartolina 1898-1918, Milano, Rizzoli, 1983.

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